Monastero del Santo Sepolcro

Monastero del Santo Sepolcro, Astino

Cristoforo III Baschenis detto il vecchio

Traditio Legis, Maddalena al sepolcro con Pietro e Giovanni 

 

Il monastero del Santo Sepolcro fu fondato nel 1107 dai monaci vallombrosani, la chiesa venne consacrata nel 1117, ampliata nel 1500 e rinnovata poi nei secoli, rimanendo officiata anche dopo la soppressione napoleonica del monastero. La Congregazione della Misericordia (MIA), acquisito nel 2007 l’intero complesso, ha provveduto ad un imponente restauro che nella chiesa ha consentito di recuperare parte dell’originaria decorazione.

Nel transetto sono così riapparsi brani affrescati delle Storie della Passione di Cristo che rivestivano le pareti in probabile numero di sei-otto, contornate probabilmente da finte cornici adornate da mascheroni.

Una fonte del 1569 ne indica l’autore in Cristoforo Baschenis il vecchio, indicando che l’artista operò nella “parte della chiesa in su”, affermazione apparentemente imprecisa poiché per i dipinti dell’aula e della volta la paternità spetta al nipote Giovan Battista Guarinoni, figlio della sorella Lucia.

I brani meglio conservati sono soltanto due, a nord sulla parete occidentale, separati appunto da una lesena dipinta con un mascherone centrale e oggi visibili grazie alla ricollocazione a terra del dipinto con la Samaritana al pozzo di Bernardo Luca Sanz, che dal 1710 ne occultava la visione: rappresentano la Traditio legis, la trasmissione del messaggio evangelico da Cristo agli Apostoli e in particolare a san Pietro, e la Maddalena al sepolcro con gli apostoli Pietro e Giovanni, dipinte evidentemente da Cristoforo III Baschenis, forse insieme al poco noto Cristoforo Carminati e alla bottega, in cui lavorava anche il nipote Guarinoni.

I tipi dei personaggi, gli abbigliamenti, le acconciature, le movenze accese, gli atteggiamenti sorpresi e indagatori così come la vivace tavolozza rimandano ad esempio alle opere di Lallio e Casnigo dello stesso Cristoforo, caratterizzando in particolare la sua produzione tarda, quando il modellato dei personaggi assume una consistenza più compatta.

Nella parte meridionale del transetto, sotto un’altra tela del Sanz, sopravvive un ulteriore frammento: l’episodio del Noli me tangere. Altri resti di intonaco affrescato su laterizio, con porzioni di volti maschili e di cornici color oro, sono riemersi nei restauri sulla muratura esterna della Cappella di San Martino, qui probabilmente reimpiegati dopo la loro demolizione per i lavori di innalzamento nel presbiterio di un coro più ampio.

Stante la data 1598 di termine del cantiere inscritta in una tabella sotto il soprastante cornicione, è plausibile ritenere che questo ciclo bascheniano sia stato visibile per soli trent’anni, appunto dal 1569 al 1598. 

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