Oratorio di San Ludovico di Tolosa

Oratorio di San Ludovico di Tolosa

Angelo Baschenis (bottega di) 

La Trinità, la Crocifissione e altre scene 

 

Nella remota cappella campestre sono visibili interessanti affreschi, recuperati grazie a un’accurata campagna di restauro terminata nel 2009.

Nell’area presbiteriale la rimozione dalla parete di fondo della tela con San Ludovico di Tolosa che accoglie orfani e vedove, oggi conservata nella parrocchiale, ha rivelato la presenza di un’ampia zona affrescata: domina al centro la Trinità, affiancata a sinistra dalla Madonna con il Bambino in trono e a destra da un maestoso San Ludovico di Tolosa, pure in trono.

Le figure sono ospitate sotto un loggiato con colonnine che termina alle estremità con Sant’Antonio abate a sinistra, e a destra con uno stemma della famiglia Tasso recante l’iscrizione ‘Hoc opus f[ecit] f[ieri] frater anton…/ f[ilius] q[uondam] m[.…]ti de ta[…..]”. Nella grande lunetta del registro superiore campeggia la scena della Crocifissione, con la Maddalena e tre angeli che raccolgono nei calici il sangue dalle piaghe di Cristo; anche in alto ai lati si ripetono invertiti a sinistra San Ludovico di Tolosa e a destra la Madonna in trono con il Bambino; al margine estremo stanno due grandi stemmi con mitre vescovili, di Luigi Tasso vescovo di Parenzo a sinistra, e di Bartolomeo Assonica vescovo di Capodistria a destra, individuato quest’ultimo anche dall’iscrizione sottostante: ‘quista arma sia de monsenior bartolam asioga episcopo de cavodihstria’ (dall’altro lato la scritta è scomparsa).

I due prelati ricoprirono le cariche episcopali nei primi decenni del Cinquecento e secondo Donato Calvi nel 1504 giunsero insieme a benedire la chiesa quasi ultimata: l’iscrizione alla base della lunetta, oltre al riferimento all’Assonica, riporta infatti al centro le parole ‘frater Antonius’ con un secondo nome di committente, ‘guariscus (?) f[ilius] q[uondam] boni de tasis f[ecit] f[ieri] pro testamento suo hoc opus’ e la data ‘1504 die 23 augusti’.

Gli affreschi decorano anche la larga volta a botte: al centro il Cristo in Maestà in una mandorla luminosa iridata, la mano destra levata a benedire e la sinistra reggente il libro aperto; attorno i simboli degli Evangelisti; a lato sulle falde discendenti coppie di personaggi su grandi troni intagliati, su sfondi di paesaggio con realistici alberi scalvati e angioletti in volo oranti o musicanti.

A sinistra la Madonna in trono che allatta il Bambino è adorata da un committente inginocchiato, con sottostante iscrizione ‘hoc este (?) antonius f[ilius] gratioli de tasis’; a fianco è un altro San Ludovico di Tolosa.

Sul lato opposto Sant’Antonio abate in un massiccio trono è adorato da una committente inginocchiata, verosimilmente la moglie di Antonio Graziolo de Tassi (la scritta in calce è scomparsa); accanto, in un quarto grande trono, San Vincenzo Ferrer e una lunga iscrizione malridotta (al centro si legge solo la data ‘die XXII mensis augusti’).

Fregi a grottesche completano i due sottarchi, con l’Agnus Dei al vertice e finte finestrelle con due personaggi a mezzo busto all’antica in basso.

Sul lato destro del presbiterio, infine, una Madonna in trono che allatta il Bambino, affiancata da San Sebastiano e poco distante da San Bartolomeo, probabilmente coeva al riquadro che in alto riporta la scritta ‘hoc opus f[ecit] f[ieri]…’ insieme al ritratto di profilo di un ulteriore donatore inginocchiato.

Il complesso di pitture è ancorato alla data del 1504 ed è ascrivibile ad un unico pittore. L’attribuzione è suggerita dalla firma, purtroppo incompleta, inscritta alla base del trono di Sant’Antonio abate affrescato sulla volta a botte: ‘di…..s de averaria pinxit’, che potrebbe riferirsi a Dionisio Baschenis, operante a Pelugo in Trentino, come già è stato proposto.

Ma considerando le numerose somiglianze iconografiche, stilistiche, cromatiche e decorative che avvicinano – sia pure ad un livello più modesto – queste pitture agli affreschi della sacrestia di Ornica, firmati e datati nel 1485 da Angelo Baschenis con un figlio del quale si tace il nome, si può ragionevolmente ipotizzare la presenza al Bretto proprio di questo anonimo erede, che ripete stancamente gli stilemi paterni, probabilmente insieme con qualche altro componente della bottega. 

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